Antefatto. Mia figlia, 9 anni, vuole un’app. Un gioco. Finora le è stata negata; insiste, com’è giusto che faccia. Facendo qualche paragone con i suoi coetanei, non posso definirla come ossessionata dai display. Non ha uno smartphone (sarei tentata di aggiungere “ovviamente”, data l’età, ma da quello che vedo in giro non è poi così ovvio), si dimentica quasi dell’esistenza del tablet, guarda un po’ di televisione. Quando è a casa, perché tra la scuola tutto il giorno e le varie attività, non ha nemmeno molto tempo. Ha ereditato il mio vecchio Mac e lì, sì, è molto difficile staccarla da YouTube. Guarda un video dietro l’altro, lo farebbe per ore se non intervenissimo. Quindi, la questione non è “non lo fai” ma “impara a darti dei limiti”.
Il padre, in mia assenza (ma sarei stata d’accordo) propone: Vuoi quel gioco? Prova a darti dei limiti da sola e vediamo come va. Detto, fatto. Si è chiusa un’ora in cameretta e ne è uscita con le tavole della legge che vedete qui sotto: regole e punizioni, per essere presa sul serio, per dimostrare che ci crede, che vuole rispettarle. Si è fatta una puntata di Tata Lucia (che non ha mai visto) da sola, in pratica.
Questo per spiegare come siamo arrivati alle regole e soprattutto alle punizioni che molti, su Facebook, hanno evidenziato essere troppo severe. Ma sono scritte con il chiaro intento di dimostrare serietà e abnegazione al fine di ottenere ciò che vuole. Negoziazione: mi sembra molto giusto e molto maturo. Altra cosa è verificare nel quotidiano se saranno rispettate o meno; vedremo.
Questo ancora per dire che siamo in un guado, una palude, un gran casino. Leggiamo tutto, ascoltiamo tutti, cerchiamo di capire il più possibile. Ascoltiamo le pedagoghe e le psicologhe durante gli incontri organizzati dalla classe, che raccomandano di non fidarsi del parental control e di non far utilizzare nessun device, tv compresa, mezz’ora prima di dormire, perché è un eccitante.
Leggiamo tutto: dai ragazzini che su YouTube fingono lutti familiari per ottenere attenzione, agli studi apocalittici che prevedono frotte di adolescenti tristi e soli, causa ovviamente i social network. Ascoltiamo gli altri genitori, ci confrontiamo. Ma ancora di più viviamo la rete, tutti i giorni, tutto il giorno. E quindi, da sempre, le mostriamo tutte le opportunità, le cose belle, le aperture che può dare la rete e che “magari avessi avuto io quando avevo la tua età”. Un esempio per tutti: il coding, con i corsi di Scratch. Innamoramento istantaneo.
Mettiamo dei limiti di tempo e modo? Sì, perché noi per primi sappiamo quanto può essere ipnotico un display, quanto può frammentare l’attenzione, quanto i “dieci minuti” possano diventare ore. Perché ognuno fa ciò che vuole nella sua famiglia, certo, ma allungare il cellulare è spesso solo un modo per dire “non rompermi le palle”. Lecito: siamo tutti esausti, a tratti. Ma non nascondiamoci dietro la libertà, il vivere il nostro tempo, il lo fanno tutti.
Rovescio della medaglia: come mettere limiti quando la mamma vive in simbiosi con il cellulare o passa ore davanti al Mac? Trincerandosi dietro il più classico degli #èperlavoro? Ipocrita: non è sempre per lavoro. È anche per cazzeggiare su Facebook o, nel mio caso (un caso disperato, lo so) per giocare a Candy Crush (sono rimasta l’unica? Probabile). E mia figlia lo sa bene. Con l’autorità vecchio stile “Io sono adulta e posso farlo?”. Con l’autorità più becera “Perché di sì?”. Imponendoci norme di buon senso a nostra volta, come non guardare il cellulare a tavola, limitarne l’uso in generale a casa, privilegiare il dialogo eccetera? Con la condivisione in modalità “siamo tutti amici”, passandosi video e informazioni e chiedendo, oltre a come è andata a scuola, anche com’è andata su YouTube, così da farne un elemento di conversazione e non un tabù? Spiegando che i giochi e video dei gattini, sì, ma la rete è anche fonte di informazioni e nozioni e quindi, bla bla (con il classico effetto #pippone e conseguente occhio a mezz’asta)?
Spesso, facendo tutto questo insieme e commettendo una montagna di errori. Perché non siamo pedagoghi ma persone che cercano di fare del loro meglio in una disciplina sconosciuta come l’essere genitori (vedi alla voce Cose divertenti che non farò mai più) e per la quale non c’è manuale di istruzioni, non c’è patente, non ci sono esami.
Cercando di bilanciare le nostre convinzioni con quello che fanno gli altri: coetanei, compagni di scuola, amici (e a volte non riuscendo a dormire pensando: oddio, in classe hanno tutti la Playstation tranne lei. Ecco, ne sto facendo una disadattata).
Infine portandole il più classico degli esempi, perfetto perché mia figlia è una forte lettrice.
“Hai dei limiti per leggere, perché non dovresti averli per il computer, lo smartphone, la tv?”
Sì, le metto un tempo anche per leggere. Lo so, fa ridere, ma prima o poi deve dormire: “Smettila subito di leggere che è tardissimo. Smettila se no ti sequestro il libro.” Succede pure questo. Ma è un modo per farle capire che tutto ha dei tempi e dei modi, non solo i display. E che tutto, se fatto in eccesso, può essere potenzialmente pericoloso, pure la santa lettura, su carta, per carità.
Poi ho guardato nell’angolo delle firme e ho visto la sua firma, quella della gatta Zazie, quella di Gattoscemo, amico immaginario che vive con noi da quattro anni, protagonista di mirabolanti avventure. E chi sono io per non firmare accanto a un amico immaginario? Come potrei permettermi? Non so se la fantasia è mai andata al potere ma comunque qui è salva. Non sarà certo un’app a danneggiarla.
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