E quindi è successo. Il 25 gennaio sono stata dichiarata “idonea” e sono entrata a far parte con grande gioia della grande famiglia dei sommelier AIS. Felice ma stanca, perché raramente ricordo di aver studiato così tanto in vita mia (e io sono abbastanza secchiona, fidatevi). È successo tutto nel giro di un anno, visto che la mia prima lezione del primo modulo è stata il 26 gennaio 2016. Per quanto mi riguarda, è stato l’unico modo per riuscirci: tutto di fila, senza respiro, senza sfilacciare lezioni, competenze e degustazioni in troppo tempo. Ognuno sceglierà il suo modo, se lo vorrà fare. Questo è stato il mio.
E ora, siccome ho trovato molto utili alcuni racconti e post che accoglievano consigli per superare l’esame, faccio lo stesso e dedico un po’ di tempo per condividere i miei di suggerimenti. Se invece volete subito le domande, le trovate qui.
Social Media Journalism, il mio nuovo libro
Non solo per giornalisti. Perché oggi tutti possiamo (e spesso lo facciamo) creare e condividere contenuti sui social network. Per divertimento, ma anche e soprattutto per lavoro. O almeno dovremmo farlo: secondo dati dell’Unione europea, nel 2020 saranno 900 mila i posti di lavoro vacanti per la carenza di capacità digitali. Già oggi circa il 40% della forza lavoro europea non ne possiede di adeguate e il 14% ne è totalmente sprovvisto.
Ma da vent’anni ormai il Web prima e le reti sociali poi hanno trasformato il mondo del giornalismo e della comunicazione. Da una struttura verticale che dall’alto controllava e distribuiva contenuti, si è passati a una realtà orizzontale dove per essere editore basta aprire un account, le voci delle grandi emittenti nuotano in un mare di conversazioni e il dialogo è merce di scambio per ottenere attenzione.
Conviene saperne qualcosa di più. Per questo ho provato a mettere tutto quello che ho imparato e insegnato in aula, le risposte alle domande più frequenti, quello che ho osservato e quello che ho sperimentato nel mio lavoro negli ultimi dieci anni in Social Media Journalism. Strategie e strumenti per creatori di contenuti e di news (Apogeo, 24,90) offre una panoramica completa degli strumenti a disposizione per condividere contenuti sui social, da Facebook fino ad app come Telegram, passando per Twitter e Instagram. Un manuale che guida giornalisti e professionisti della comunicazione alla scoperta delle nuove regole del gioco, mostrando come lavorare in un contesto dove l’informazione è multiforme e scorre veloce. Se vuoi dare un’occhiata, sul sito di Apogeo puoi scaricare gratuitamente la (bellissima) prefazione di Ferruccio De Bortoli, l’introduzione e il primo capitolo.
Essendo un mondo in continua evoluzione, propone soprattutto un metodo, che possa sopravvivere ai continui cambiamenti di piattaforma: condividere contenuti di qualità, non aprire troppi profili se poi non hai tempo e modo di gestirli, occhio alle fonti e alla diffusione di notizie false. Suggerimento quanto mai appropriato oggi che stiamo sviscerando la comunicazione, anche e soprattutto sui social, che ha portato all’elezione di Donald Trump come presidente Usa. Soprattutto, fa riflettere sul fatto che non esiste ormai una distinzione tra ciò che siamo e facciamo online e offline: tutto contribuisce a creare una personalità e un’autorevolezza professionale. Per cui, occhio a ciò che scriviamo e condividiamo: il palcoscenico dove lo stiamo facendo è, potenzialmente, il mondo intero.
L’ho scritto seguendo l’approccio che ho in aula e in aziende: zero fuffa, molti esempi e consigli pratici, riflessioni e how-to. Spero e credo possa essere utile a molti, non solo i “giornalisti”, a a chiunque lavori o voglia lavorare nel mondo della comunicazione e condivisione di contenuti online. Ma anche a chi vuole saperne di più per interesse personale o per costruire una reputazione online migliore e più autorevole.
L’hai letto? Fammi sapere cosa ne pensi 🙂
10 consigli per organizzare un festival o un evento digitale
Ho iniziato a scrivere sui giornali (di carta, ovviamente) nel lontano 1992. Da allora, per lavoro e per interesse personale, credo di aver seguito centinaia di eventi, festival, convegni, manifestazioni. Negli ultimi dieci anni, soprattutto dedicati al digitale e alla tecnologia. E ne ho organizzati alcuni: non aperti al pubblico, ma comunque rivolti a una platea di duecento giornalisti, con ospiti stranieri, livetwitting e tutto il resto.
Per questo credo di avere l’esperienza necessaria a scrivere questa piccola guida per chi si trova a organizzare qualcosa; perché volte si dimenticano dettagli banali. Perché ormai ci sono troppe cose da seguire e il pubblico potenziale è sempre più o meno quello. E perché sì, sono stufa di andare ai convegni e annoiarmi terribilmente. Prendetelo come un regalo per il nuovo anno.
- Focus Non è più il 2000 (purtroppo o per fortuna, fate voi). Non si parla più di “internet”. Nemmeno più di “digitale”, anche se l’ho messo nel titolo in ottica puramente divulgativa. Se volete organizzare un evento, piccolo o grande, cercate di focalizzarvi su un singolo aspetto e mantenete una forte coerenza chiamando i relatori giusti e organizzando workshop in tema. No al fritto misto, grazie. Piccola parentesi sull’inglese: non credete a ciò che il pubblico dice. In Italia ancora molti fanno fatica a seguire un dibattito in inglese. Odio doverlo dire, ma se la lingua ufficiale è quella, o qualche panel si svolge in inglese, pensate alla traduzione simultanea in cuffia. Oppure, se il vostro obiettivo è quello di selezionare l’audience e di essere elitari (ci sta), ignorate ciò che ho scritto e andate avanti per la vostra strada. Attenzione solo all’effetto involontariamente comico di relatori italiani che parlano inglese fra di loro. Io ve l’ho detto.
- Sovrapposizioni Ci sono eventi necessariamente ricchi, che generano infinite sovrapposizioni di panel e attività (penso all’ottimo Festival del giornalismo) e altri che fanno della nicchia il loro punto di forza: in Italia, mi viene in mente State of the net, che propone uno e un solo intervento per ogni fascia oraria. Ovvio che, a seconda della dimensione, le cose cambino. Ma se potete, non esagerate con le sovrapposizioni di temi simili e relatori molto attesi. È molto fastidioso dover scegliere continuamente tra una cosa e l’altra, e avere sotto sotto la sensazione di aver sbagliato scelta (una specia di FOMO da convegno, insomma). Personalmente, spesso finisco a correre da una parte all’altra, ascoltando dieci minuti di ogni cosa, senza concentrarmi davvero su nulla, e capendo qualcosa solo una volta tornata a casa, guardando i video degli interventi, se disponibili (vedi punto 10). È vero che agli eventi si va spesso per fare networking e incontrare amici e colleghi, ma non solo. Si va — si andrebbe — anche per ascoltare gli interventi live, se il calendario non fosse più complicato di un sudoku.
- Hashtag volete fare rumore sui social? (e chi non, mi viene da dire). Bene. Scegliete per tempo un hashtag breve, chiaro e intuitivo. Breve, perché dovete lasciare spazio per il tweet, ovviamente. E controllate che non sia già stato usato altrove per altri eventi: ricordo che una volta, una sigla scelta per una piccola serie di incontri dedicati alla letteratura per ragazzi, e non verificata prima, si è rivelata la stessa di un evento dedicato al porno negli Stati Uniti. True story. Ovviamente, cliccando sull’hashtag, i primi tweet erano quelli che parlavano di albi illustrati, ma subito sotto il contenuto cambiava non poco, come potete immaginare. Una volta scelto e controllato, ricordate l’hashtag ovunque: nelle mail di invito e conferma, su cartelli esposti nelle sale, sul materiale cartaceo.
- Social media team ormai lo fanno in tanti: un gruppo di ragazzi, spesso volontari, guidati da una persona con più esperienza, copre l’evento sui social. Ottimo. Pagateli, un minimo; scegliete per gestirli una persona che abbia davvero esperienza, anche di organizzazione di un team e non solo di social (e pagatela una cifra decente: if you pay peanuts, you get monkeys). Suggerite al social media team di non limitarsi a ritwittare istericamente le frasi memorabili dei relatori, ma di fornire anche e soprattutto informazioni puntuali: dove, come, cosa, suggerimenti pratici, se i video saranno disponibili in un secondo momento e dove, e di dare risposte rapide e puntuali. Sappiate che alla fine di ogni giornata, per chi non c’era ma anche per chi c’era, un riassunto su uno strumento come Storify è molto gradito.
- Moderazione Sappiate anche azzittire i relatori se è il caso. Come? Li invito, magari li pago pure, e non li faccio parlare? No: li moderi, ma sul serio. Soprattutto in Italia, molti relatori sono afflitti da ombelichismo compulsivo. Non rispondono alle domande in modo puntuale, ma iniziano a divagare ricordando la loro storia professionale, chiaramente punteggiata da incredibili successi, dal giorno della laurea fino a oggi. Teneteli sul punto. Date loro un tempo. Anche per i keynote. Il primo DonnaModernaTalk, quest’anno, mi è piaciuto anche per questo: cinque minuti per uno, scaduti i quali si abbandona il microfono. Meglio lasciare il pubblico con la voglia di saperne di più che in preda a una scarica di sbadigli da ippopotamo. Stessa raccomandazione da fare ai moderatori: moderate, ossia facilitate il dibattito. No, non ci interessa sapere insistentemente il vostro punto di vista, il vostro posto nel mondo e i libri che avete scritto. A meno che non siano davvero funzionali alla discussione. Fate un passo indietro. E informatevi: modero spesso, per cui so di cosa parlo. Dedicate un po’ del vostro tempo a studiare chi sono le persone che presenterete e, se possibile, se non le conoscete, sentitele prima. Fa la differenza e il pubblico vi ringrazierà. Come ci ricorda la Rowling, le storie non funzionano se nessuno le ascolta — perché sono noiose.
- Workshop andare a imparare e non solo ad ascoltare è un regalo. Se potete prevedere momenti di formazione pratica, i vostri ospiti ne saranno molto felici. Unica raccomandazione: occhio al livello. Spesso ci sono workshop che si rivelano troppo basic per molti — che occupano posti ma poi se ne vanno a metà. Viceversa, altri possono essere troppo tecnici, incomprensibili e quindi inutili per altri. Visto che solitamente sono a numero chiuso, fornite più dettagli possibili all’atto della prenotazione del posto, per fare incrociare domanda e offerta nel modo migliore.
- Networking prevedete spazi dedicati alla chiacchiera e all’incontro (lo fanno praticamente tutti). Il massimo in questo, in Europa, è il Dublin Web Summit: un’organizzazione capillare e perfetta, con l’addetta stampa che ti scrive personalmente per chiederti chi vuoi intervistare (mai successo prima). E un’app molto ben fatta, con il classico calendario e una chat per entrare in contatto con ospiti e relatori. Ormai ogni evento medio, in effetti, ha la sua app dedicata: vedete voi se ne vale la pena. Personalmente le uso poco, ma mi rendo conto della loro utilità.
- Wi-fi e prese di corrente Come, a fine 2015, ancora parli di wi-fi? Sì, perché ci sono ancora luoghi, sale, eventi nei quali o non è previsto, o funziona poco e male, o non è sufficientemente “pubblicizzato”. Il wi-fi è fondamentale, come le sedie. E io non devo vagare per la sala a chiedere alle hostess smarrite qual è la password. Devo averla sotto gli occhi sempre, come l’hashtag. Capitolo prese di corrente: cari organizzatori, non siete stufi di vedere ospiti in piedi, in posizioni contorte che nemmeno una asana, perché hanno scovato finalmente una presa sotto la sedia del relatore ma non vogliono perdere di vista lo smartphone? Ecco. Basta a cavi penzolanti o tesi in mezzo a due sedie (pericolosissimi e a rischio inciampo, fra l’altro), basta a preghiere “mi fai ricaricare almeno dieci minuti per favore?” rivolte a quello che ha trovato per primo l’unica presa della sala e la difende ringhiando. Prevedete punti precisi e ben indicati per ricaricare tutti i device: as simple as that.
- Streaming: come il wi-fi: se c’è (e dovrebbe), deve funzionare in modo impeccabile. Fine.
- E dopo? Vedi il punto 2. Spesso durante eventi e grandi convegni si perdono molti interventi interessanti. È molto bello ricevere informazioni puntuali su dove potremo trovare i video e i contenuti che non abbiamo seguito. I giorni dopo l’evento, secondo me, andrebbero curati ancora di più e meglio del durante. Anche sui social: non è buffo vedere un account twitter o un pagina facebook morti per 11 mesi all’anno che improvvisamente si rianimano sparando contenuti a raffica (pure troppo), per poi tornare in letargo?
(La foto è presa dal Flickr del Festival del giornalismo di Perugia)
Tutorial per fare la zucca di Halloween
Siete in ritardo? Tranquilli, il problema è solo trovare la zucca. Ma quest’anno vedo che i besagnini* si sono attrezzati e adeguati alla legge del mercato, c’è un fiorire di zucche di Halloween in tutti i banchetti, per cui non resterete senza. Io questa l’ho intagliata ieri sera in neanche 20 minuti con l’aggravante dell’azione di disturbo della quattrenne: Mamma fai la zucca? Mamma stai attenta a non romperla. Mamma fai la bocca più grande. Mamma guarda che paura che fa. Mamma ce l’abbiamo una candela? – per cui non avete scuse.
Step 1
Disegnate la faccia della zucca; non dimenticatevi il “tappo”, ossia un cerchio frastagliato sulla sommità; inizierete da lì e da lì la svuoterete, per cui fatelo sufficientemente ampio. [Per saperne di più…]